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Stefania Maggiulli Alfieri, Sociologa dell’arte e critica, per la mostra PATTI E RICATTI del 2023

Arnaldo Miccoli
Patti e Ricatti

La collezione qui presentata, dall’artista Arnaldo Miccoli, costituisce , nel susseguirsi di messaggi, emozioni, tracce e reti cromatiche,  un potente monito diretto ad una società sempre più assente e caratterizzata da una forma di alexitimiache l’artista rileva con grande sensibilità e mette in scena con maestria.

Lo svolgersi del racconto concilia il passato e il presente, fermando il ciclo cronologico dell’uomo in una dimensione atemporale, una pausa necessaria all’ascolto e alla riflessione sui grandi temi che gravano sulla nostra stessa esistenza.

Nell’insieme, osservando le opere, sembra di essere trascinati nel ritmo narrativo della fiaba con finale sospeso, non quella moderna, edulcorata e non veritiera, bensì quella tradizionale, soprattutto nordica, nella quale vita e morte si compensano, il racconto assume accenti crudi, talvolta impietosi, il cui scopo è spingere a riflettere sulla condizione umana. E della fiaba troviamo un altro elemento fondamentale: la metafora.

Attraverso quello che possiamo definire “tropo” Arnaldo Miccoli costruisce un impianto figurato e simbolico, riuscendo ad allontanarsi dalla visione semantica e attribuendo, al percorso visivo, potere evocativo e fortemente espressivo.

Ed è attraverso la metafora che  riesce a dare forma a ciò che solitamente non può essere definito in termino logici, come, in questo caso, il pensiero emotivo.

È grazie a questa visione metaforica che Miccoli esplora il suo sé profondo, sotto diversi punti di osservazione e, insieme, con quel distacco necessario a descrivere anche i livelli più estremi della storia.

Miccoli aggira, in questo modo, la resistenza dell’osservatore, tentando l’accesso alla dimensione emotiva, quella che ognuno tende a proteggere e barricare, a non esporre per paura della sofferenza.

Le opere in oggetto vanno a scardinare il comune senso del percepire concetti complessi e fondamentali, anche se dolorosi.

Ma Arnaldo non ci lascia soli, non vuole colpire e infierire bensì comunicare, già nel titolo troviamo un’indicazione: Patti e Ricatti.

L’intero percorso espositivo denuncia la feticizzazione del costume sociale in cui viviamo, del malinteso costante che porta a trovarsi di fronte a elementi falsi e falsificati, A.Miccoli si sottrae all’omologazione, si svincola dal pensiero unico, consegnando, attraverso la sua personale visione artistica,  i temi e i drammi che oggi coinvolgono tutti noi.

La tendenza a camuffare gli eventi, anche quelli più drammatici, al fine di ottenere consensi, è uno dei fattori caratterizzanti la nostra storia contemporanea, Miccoli crea un corto circuito, annulla i fattoidi rimandandoci ai fatti nudi e crudi senza compromessi.

Si sgancia, in questo modo dai possibili ricatti morali, emotivi e politici che il sistema esercita sul singolo e sulla massa, l’insieme di convenzioni sociali, credenze, politiche pressanti, analfabetismo, negazionismo, generano livelli di disagio,  è più facile adeguarsi e dare per assodato quanto ci viene trasmesso, ciò può  costituire la comfort zone dell’uomo medio che così si illude di avere il controllo sulla propria vita, senza affanni e senza impegno; ma se il sistema crea nuove forme di dipendenza e nuovi dogmi; Miccolisi contrappone da eretico, divergendo dal pensiero comune,  dalla paura che incombe sull’uomo rendendolo ricattabile.

L’esistenza della nostra stessa specie è messa a rischio dai grandi eventi; nell’arco di un granello di tempo della storia dell’uomo, abbiamo assistito , e stiamo ancora assistendo, al susseguirsi di drammi epocali.

Politiche corrotte, stragi, potere religioso, virus, guerre, naufragi, razzismo, misoginia, violenza, mala sanità, povertà, rischi ecologici, a Miccoli non sfugge nulla, lo riporta su tela, lo descrive, lo ritrae inventando nuovi simboli in controtendenza a quelli adottati dai più per assimilazione passiva.

Riesce a concepire immagini la cui potenza si dissocia dall’inquinamento visivo in atto da diversi decenni. A. Miccoli adotta figure antropomorfe, riportandoci all’archetipo e al mito, ripropone l’antica ritualità legata all’antropomorfismo, riesce, attraverso questo espediente, a dare forma e forza al pensiero astratto, nell’esecuzione risalta il serrato intreccio di pennellate a creare spazi e definire soggetti, il ritmo è tale che sembra voler tenere il passo con un’urgenza espressiva fortemente emozionale, il gesto esprime ciò che di più intimo alberga nell’animo dell’autore, seguendone e assecondandone gli stati di angoscia, indignazione e rivolta.

Ed è il gesto che definisce l’opera che, negli ultimi lavori, ci sorprende, la pennellata si rende più evidente, più esplicita, tale da essere non più il mezzo per definire l’idea bensì l’interpretazione tangibile dell’idea stessa, la pennellata acquisisce forza e autonomia, struttura lo spazio divenendone il fattore caratterizzante e insieme soggetto definito.
La grandezza dell’arte è nella comunicazione, nelle opere di Miccoli ognuno può rispecchiarsi, trovare qualcosa di sé che lo spinga a considerare che, in ciò che sta osservando, ci sia parte della propria vita, che “quella” storia sia la propria.

L’opera “ Surprise” scompone lo spazio, le figure fluttuano in uno spazio privo di gravità sebbene definito da spazi geometrici, qui è lo stupore a cogliere l’attenzione, uno stupore che assale improvviso, le mani, in primo piano, risaltano, amplificano la sensazione di smarrimento, quasi non avessero appigli  possibili per garantire la propria salvezza.

“ Comb”un titolo apparentemente semplice, un oggetto di uso quotidiano, di quelli di cui non preoccuparsi più di tanto, eppure in quest’opera assume un valore centrale, ci si chiede quale sia il soggetto, la donna o il pettine?

Di fatto è l’elemento primo che salta agli occhi, il rosso si impone al colore terra della donna, e, ancor più, risalta per complementarietà con il verde, nulla è lasciato al caso, cosa vuole dirci l’autore? La figura è tale da riportare all’archetipo delle tracce  primitive, è essenziale, i particolari sono graffiti e di essi hanno l’immediatezza, vuole forse denunciare la superficialità della società che si rispecchia nell’esteriorità, si illude di esistere attraverso il visibile, trascurando la dimensione più profonda. Specchio e pettine,nella memoria collettiva, sono due elementi collegati alle sirene.

Rappresentazione di vanità e lussuria, le ritroviamo come ornamenti scolpite sui capitelli nelle chiese romaniche quale monito contro i peccati.

Ma anche nel medioevo, le sirene erano rappresentate con specchio e pettine, a sottolineare sensualità e vanità.

Miccoli è tuttavia schivo da atteggiamenti moralistici, dunque la sirena non è la metaforica rappresentanza della donna, bensì della società intera, l’eccesso di apparenza che induce al narcisismo, facendo riferimento al significato latino di vanità, che sottolinea la vacuità dell’esistenza.

Nell’opera “Proserpina”, troviamo tutti gli elementi del mito con chiare contaminazioni attuali, le calze autoreggenti coloratissime, un modo per sottolineare quanto la storia e la tradizione legata ai miti sia presente in tutte le culture riuscendo a superare l’ostacolo del tempo. Proserpina, nella leggenda è figlia di Cerere, divinità agricola, dunque strettamente legata al culto della terra e all’alternarsi delle stagioni, della vita e della morte.

L’opera è caratterizzata dai colori caldi, solari, dell’arancio che si impone sul fondo azzurro, ricorda il calore, il sole, la rinascita, regge due volti, che si osservano, ambivalenti, statici, rimarcano il bene e il male, la fioritura e l’inverno, la vita e la morte, l’Ade e la terra.

Persefore suggerisce che entrambe le condizioni devono convivere necessariamente, in armonia tra loro nell’alternanza dell’eterno ciclo della natura, romperlo sancisce la fine di tutto.

È un chiaro richiamo alla drammatica condizione ecologica di cui l’uomo è responsabile, l’invito a rispettare l’ambiente di cui non siamo padroni bensì ospiti.

L’elemento misterioso è costituito dalla scatola vuota alle spalle di Persefore, e come tutti i vuoti la si può considerare non una mancanza ma un occasione, un invito a riempire quel vuoto rimediando  ai disastri ecologici incombenti.

“Ricomposizione”arriva come un invito, un’urgenza, l’autore ci suggerisce che non c’è più tempo, urge ricomporre l’identità dell’uomo, la sua integrità morale e sociale. L’opera suggerisce più stadi di passaggio, i contorni che definiscono il volto centrale e le tessere sottostanti, ridotte all’essenziale appaiono come frammenti dell’essere. Ricomporre il sé cosciente perso nel grande gioco delle apparenze e dell’opportunismo, il simbolismo dell’opera è accentuato dal guanto da baseball, pronto ad accogliere il lancio. Il soggetto centrale, richiama la struttura del nucleo destinato ad evolversi, della possibile nascita ed evoluzione in qualcosa di nuovo e inedito, la speranza di assistere ad una nuova alba dell’umanità.

Cosa rimane dell’uomo privato del verbo? L’opera “Talk” riesce potentemente ad esprimere la dimensione inebetita dal silenzio forzato,  la mano sulla bocca prepotentemente impedisce di esprimersi, censura, esclude, gli occhi esprimono uno stupito terrore mentre, nello sguardo dell’aguzzino, vi è una fissità ottusa, sembra non vedere altro che la propria supponenza da esercitare in modo violento. È, il suo, uno sguardo cieco sul mondo e sulla compassione necessaria per l’equilibrio delle relazioni umane e l’interconnessione con il prossimo. Le barchette di carta che, come fantasmi, emergono dallo sfondo, richiamano i grandi temi sociali attuali, simboleggiano la misura della fragilità del viaggio, l’illusione di restare a galla affrontando le mareggiate, la speranza di una salvezza raggiungibile. Nella simbologia la barchetta di carta rappresenta il grembo materno, nel contesto espressivo dell’opera, questo aspetto ne potenzia la drammaticità. È storia contemporanea, è la nostra storia, quella a cui assistiamo chi con un senso di  impotenza chi di indifferenza, il verbo è quanto mai necessario, costituisce l’arma potente di ogni uomo contro i soprusi, le dittature, le ingiustizie, se ad un popolo si nega la parola, si impedisce la libertà di espressione non resterà che un grugnito di fondo a sprofondare l’intera società.

“Trigeminal Birth”, ancora una metafora e stuzzicare l’osservatore. La potenza del soggetto che guarda in sé stesso, le due esistenze, quella razionale  e quella emotiva del cuore che si rispecchiano. Entrambe necessarie nella costituzione di un equilibrio armonico, in assenza di intelligenza emotiva l’intelletto non è in grado di esprimersi al meglio, solo grazie all’interazione tra le due intelligenze si può vivere in modo equilibrato e consapevole, partorendo un uomo nuovo. Il soggetto riempie lo spazio, la matericità del colore e il tono caldo dell’arancio, lo rendono  estremamente vivo ed esaltano le due identità interne espresse con colori di contrasto. Sembra di guardare attraverso una termografia per sondare la parte più intima dell’essere umano, l’artista non caratterizza l’identità di genere, la nascita comprende il tutto, riguarda ogni singolo elemento della società.

“I wasframed”, ciò che colpisce di primo impatto in quest’opera è la potenza del gesto pittorico, il susseguirsi dinamico delle pennellate e la vividezza dei colori. L’autore si pone in alto a sinistra rispetto l’osservatore, quasi fosse il capoverso miniato di un racconto. Lo sguardo è volto verso l’osservatore, l’espressione pensosa di chi attende una risposta ad un quesito importante, tutt’intorno si agita la società con i suoi simboli, alcuni archetipi invadono lo spazio, si precipita nella fabula, ogni elemento contribuisce a strutturare il messaggio, esalta lo smarrimento dell’autore costretto nello spazio della cornice. Sono stato incorniciato, indica una claustrofobica costrizione, la domanda si fa impellente, quel piccolo riquadro si impone e contrappone all’ apparente libertà degli altri soggetti, rimette tutto in gioco. Su tutto si evidenziano i due uccelli, bellissimi nella rappresentazione magica, di cui uno, antropomorfizzato, muove il parallelo con la fenice,  ed è forse racchiusa in questo particolare la chiave di lettura dell’opera: la speranza. La facoltà di poter rinascere dalle ceneri, come l’antico mito, che simboleggia la rinascita e la capacità di resistere alle avversità.

“Ennesimo tentativo di equilibrio” racchiude splendidamente l’essenza della vita, la costante ricerca di equilibrio, il soggetto in rosa ha una potenza comunicativa esplosiva, l’opera è attraversata da straordinario dinamismo, tutto è in movimento, gli elementi con cui si destreggia l’equilibrista protagonista dell’opera, sono bersagli, nascono dalle sue stesse istanze, il piano su cui poggia è sbilanciato aumentando la sensazione di instabilità. È una ricerca sofferta, lo sforzo è evidente, le braccia si allungano e si contorcono nello sforzo il rischio incombe sui bersagli. La mancanza di equilibrio sbilancia la serenità personale, rende rischioso avventurarsi per nuovi sentieri, immobilizza, l’obbiettivo non è un equilibrio fisico bensì un equilibrio mentale, un sottile sottinteso tra sogno e realtà, tra necessità contingenti e aspirazioni, il pericolo di destabilizzazione è sempre in agguato, pronto a colpire i bersagli e precipitarci nel baratro.

Ho voluto lasciare per ultima l’opera dal titolo Cruciffiggere, perché, nella sua potenza espressiva,  la ritengo la somma della poetica complessiva di Arnaldo Miccoli.

Crucifigge Crucifigge…
Arnaldo Miccoli ci propone un’immagine potente e insieme catalizzante, una crocifissione senza tempo cronologico, inscritta in quella contemporaneità che parla una lingua autistica e ripiegata su sé stessa, deprivata di quello speciale anelito alla libertà e alla consapevolezza del proprio valore umano e spirituale.

L’uomo contemporaneo ci appare precipitato nell’abisso, incapace forse, di contraddire “il Senato”; stretto da cinghie potenti che impediscono e costringono.

Qui appare vittima e insieme carnefice di sé stesso, stupita  pedina del sistema che lo costringe ad uno spasmo, il volto stravolto ridotto a maschera digrignante, le cinghie si tendono nelle mani di quel “senato” che rappresenta il pensiero medio, la logica  codificata e assimilata come assioma del pensiero comune.

Ogni tempo ogni società ripropone, ripetendosi, il suo personale Cristo in croce, bagnato da lacrime di donna – madonna.

La Croce ribaltata, le cinghie, ma soprattutto la nudità esposta, amplificano la condizione umana, rendendo questo Cristo fragile e inerme davanti a quello che sembra un destino ineluttabile.

Il sesso esposto in posizione centrale, nella composizione, esalta la drammaticità e il pathos espresso, e il misero panno non potrà fornire riparo, ne risulta un Cristo inerme e violentato, metafora dell’uomo privato della coscienza collettiva e della ricerca spirituale, tradito da sé stesso in primis, nello sforzo di apparire prima ancora che essere.

L’opera colpisce come un dito puntato dritto sul fruitore, costringe quasi a scansarsi, è un  j’accuse , un grido che si leva dal profondo, un monito a non soccombere.

L’uomo imbrigliato nel suo dramma è un uomo di superficie, l’autore concentra tutto nello spasmo dei muscoli ma proprio lì dove sembra essere in atto il dramma, l’artista apre, inconsciamente, al “tutto opposto”. L’opera è animata da grande dinamicità, fisica e insieme storica, ed è lo spasmo che racchiude il contradditorio, tra opera e autore, basterebbe a questo Cristo lasciarsi andare, aprirsi e accettare le proprie fragilità come umana condizione, per allentare la stretta mortale, aprire alla speranza di liberazione.

La tensione emotiva dell’opera d’arte che comunica e crea ponti vibrazionali, spinge ad indentificarsi e interrogarsi, un ‘opera che conferma la grandezza di un artista, uomo del suo tempo, che si spinge negli abissi dell’anima di una società tutta da interpretare, come protagonista e non semplice spettatore.

Stefania Maggiulli Alfieri
Sociologa dell’arte e critica

 

 

 

 

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